È curioso – talvolta quasi umoristico – assistere a un litigio tra due persone che, in fondo, stanno dicendo esattamente la stessa cosa pur da prospettive diverse. Più imbarazzante è forse la situazione opposta, quella in cui ci si accorge che due dialoganti, contenti di ritrovarsi d’accordo alla fine di una chiacchierata, accordandosi l’un l’altro buon senso, autorevolezza e ammirazione, non si sono resi conto che hanno appena sostenuto tesi del tutto opposte. C’è da chiedersi se qualcosa di affine a queste situazioni possa verificarsi a volte in ambito formativo, magari in una terza variante. Immaginiamo un’aula in cui siano presenti un insegnante, un allievo e un contenuto disciplinare utilizzato per il raggiungimento di un’abilità. L’insegnante parla di quel contenuto e sceglie metodiche atte a farlo introiettare all’allievo. Quest’ultimo segue le indicazioni dell’insegnante e alla fine del percorso raggiunge l’abilità prevista. Entrambi sono soddisfatti: l’allievo è contento di essere cresciuto e l’insegnante a propria volta è gratificato e rinforzato rispetto alle scelte didattiche. A questo punto, però, il contenuto, improvvisamente dotato di parola, dice qualcosa che nessuno si aspettava: “Scusate, è vero che l’obiettivo è stato raggiunto, ma vorrei far presente ad entrambi che non esisto. Non sono mai esistito, per la precisione. Per tutto il tempo avete perciò agito su qualcosa che non c’è. Nonostante ciò vi è stato un progresso, del quale sono tuttavia testimone casuale e indiretto. Mi sapete spiegare come – e soprattutto dove – è avvenuto l’apprendimento?”. Potremmo ascrivere questa situazione a una sorta di didattica dell’altrove e associarla ai casi di falsa causalità esplorati dalla Scuola di Palo Alto.
(L’Orecchio Tonale – Teoria e pratica dell’ear training, p. xvii)